Al primo ascolto del terzo full length dei teramani Inutili ciò
che prende forma nella mia testa e nelle viscere è una malsana
malinconia per quell’esordio misto di psichedelia e noise dilatato e
scontroso che metteva insieme i fantasmi di leggendarie creature
nipponiche (Les Rallizes Dénudés, Flower Travellin’ Band) con la violenza New York style
e le reiterazioni kraut-rock di troppi decenni fa. La consapevolezza
dell’insalubrità di tale nostalgia giunge però presto, col passare degli
ascolti di “Elves, Red Sprites, Blue Jets”, edito ancora dalla sempre
sorprendente Aagoo Records (Colin Stetson, Father Murphy, Murcof, Parenthetical Girls, Xiu Xiu
ecc.) e, con essa, l’entusiasmo di trovarsi finalmente di fronte a una
formazione capace di mostrarsi coraggiosa, se può chiamarsi coraggio
l'essere se stessi, sincera, in grado di innovare il passato e
rinnovarsi con una qualità stupefacente.
Il fluire del tempo, del
resto, per gli Inutili non è uno speranzoso e circolare eterno ritorno
che invita a vivere il presente senza preoccuparsi di passato e futuro
ma neanche una linea retta sulla quale muoversi avanti e indietro, in
cerca di radici su cui fossilizzare le proprie certezze o obiettivi da
raggiungere, ma è un insieme d’istanti sopra i quali i tre piazzano
ordigni esplosivi pronti a saltare in aria al sopraggiungere dell’attimo
seguente.
È per questo motivo che ogni vecchio brano, ogni passata
produzione, ogni lavoro ormai superato è presto dimenticato, a volte,
per loro stessa ammissione, nel vero senso della parola e, sia in chiave
live sia in fase compositiva, l’improvvisazione, l’urgenza e la visione
di un presente in fase d’imminente deflagrazione diventano necessità
espressive.
Se con “Elves, Red Sprites, Blue Jets” sono
apparentemente accantonate la psichedelia pura, le estreme dilatazioni
mantriche, le ritmiche profonde e ossessive, lo stile che ha reso gli
Inutili quello che sono è ancora vivo ed energico e, se quell’attitudine
impro che ci aveva rapito è ora incanalata dentro strutture
più standard, l’aspetto lisergico è servito con mezzi diversi, più
simili a sferzate taglienti di follia che a lunghi viaggi ipnotici,
grazie a un uso sensazionale delle due chitarre. Sono proprio loro,
stavolta, le protagoniste indiscusse di questo nuovo capitolo; sono loro
a rivelare la rigenerata anima degli Inutili, ora intenzionata ad
aggredirci con cruda violenza dopo averci trascinato in un incubo, e
tutto questo è presto smascherato dalla efferata opening “Red Spider Fever”, un tripudio rumoristico che attacca senza introduzione, senza lasciarci neanche il tempo di presentire.
Eppure,
in quello che è a tutti gli effetti l’apice della produzione degli
Inutili, saranno molteplici le materialità stilistiche che si
intercaleranno. Tastiere e ritmiche vintage sullo sfondo di una vocalità
che arranca cacofonica mettono insieme brani surreali al sapore di
avanguardie sixties (“Robots”, “The Screaming Nature Of A Criminal”) e non mancano, ovviamente, momenti in cui sono l’aspetto lisergico e il sound
psichedelico a fare da padroni (“On Acid Days”). Ad aggiungere sostanza
e una dose notevole di carica e intensità, la diretta brutalità del
garage-rock più sporco e scalcinato (“Turn Off The Television”, “We Can
Stop At The Ocean For A Swim On The Way”).
Alle sei tracce della versione in vinile, se ne aggiungono altre sei in quella in cd; sei bonus track che poi non sono bonus
ma parte integrante del lavoro, tanto da prospettare le cose più
interessanti di tutto il disco. Inquietante psichedelia elettronica e
cosmica dal sapore teutonico (“Definitive Decisions”, “Sea Eyes”),
tribal-noise e minacciosi, elettrificati rituali di morte (“Sprites”)
mantra destrutturati, decomposti (“Sunlight”) e sperimentazioni
strumentali estreme (“Surfing Automa”, "Minus-Log") forniscono infiniti
spunti dai quali iniziare a confondersi prima che sopraggiunga la fine.
Tentare un termine di paragone è impossibile senza finire in una sfilza infinita di nomi che parte dagli Ash Ra Tempel e finisce agli Shit And Shine.
Definirne compiutamente lo stile è impossibile senza finire in una
sfilza infinita di generi che va dallo space all’avant-rock. Quello che è
possibile è ascoltare “Elves, Red Sprites, Blue Jets” in totale
isolamento. Quello che è certo sarà una totale devozione alla migliore e
più celata band italiana in circolazione, una delle poche realtà capaci
di competere con l’estero, se solo volesse farlo davvero.
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